
Manifesto della Fondazione
Caritate Christi Compulsi è un’enciclica di papa Pio XI, promulgata il 3 maggio 1932, e dedicata al Cuore di Gesù, al quale il Pontefice invita a ricorrere per « opporsi con tutte le forze ai mali che opprimono l’intera umanità e a quelli ancora peggiori che la minacciano » e così unire « tutte le forze nostre in un’unica e solida schiera compatta contro le malvagie falangi, nemiche di Dio non meno che del genere umano ».
Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.
La carità di Cristo Ci spinse ad invitare, con l’Enciclica Nova impendet del 2 ottobre dell’anno scorso, tutti i figli della Chiesa Cattolica, anzi tutti gli uomini di cuore, a stringersi in una santa crociata di amore e di soccorso, onde alleviare un poco le terribili conseguenze della crisi economica in cui si dibatte il genere umano. E veramente con mirabile e concorde slancio risposero al Nostro appello la generosità e l’operosità di tutti. Ma il disagio è andato crescendo, il numero dei disoccupati in quasi tutte le regioni è salito, e di ciò profittano i partiti sovversivi per la loro propaganda; conseguentemente l’ordine pubblico è sempre più minacciato, e il pericolo del terrore e dell’anarchia incombe sempre più gravemente sulla società. In tale stato di cose la stessa carità di Cristo Ci stimola a rivolgerCi di nuovo a voi, Venerabili Fratelli, ai vostri fedeli, a tutto il mondo per esortare tutti ad unirsi e ad opporsi con tutte le forze ai mali che opprimono l’intera umanità e a quelli ancora peggiori che la minacciano. (Introd.)
il “disagio” di cui parla Pio XI nella Caritate Christi Compulsi è di un’attualità bruciante. Eppure è di quasi un secolo fa. Siamo nel ‘32, in un mondo attraversato da una crisi finanziaria ed economica mai vista prima, scoppiata come noto nel ‘29 proprio nel nuovo centro finanziario mondiale, gli Stati Uniti, e intrinseca a quello sviluppo altrettanto inedito che aveva reso l’Occidente e il mondo da esso guidato un posto più veloce, già allora più connesso, violentemente in espansione. Alle contraddizioni del modello dell’interdipendenza mondiale su base commerciale e finanziaria, che quella crisi rappresentava, si era risposto e si stava per rispondere in diversi modi: già si era affermato il corporativismo fascista, che si accompagnerà a un tentativo, l’ultimo in Europa, di nuovo imperialismo e punterà a una vagheggiata autarchia economica; si era appena concluso il primo Piano quinquennale staliniano, che aveva isolato (e reso immune alla crisi) l’Unione Sovietica, con enormi costi umani; si sarebbe affermato l’anno dopo il nazionalsocialismo militarista hitleriano; stava prendendo forma il “New Deal” di matrice keynesiana del presidente americano Franklin Delano Roosevelt, che sarà eletto proprio in quel 1932; nel mondo dilagherà sempre di più il protezionismo a base nazionalista, che si esaspererà negli anni successivi contribuendo in breve tempo a preparare la strada al secondo conflitto mondiale. La chiave interpretativa che sceglie il Pontefice in quel momento (ed è così anche oggi) guarda il problema da un punto di vista morale, riferendosi alla “cupidigia”. Ma più che “impolitico” il suo è un paradigma “meta-politico”, cioè precedente alle singole declinazioni particolari di quel «disagio profondo» e «universale», «spirituale e materiale» che affligge l’umanità, e non solo il singolo popolo, tentato di cedere a un «esagerato nazionalismo», che è parte del problema e non soluzione. Tornare a quelle parole, oggi, in tempi insieme di crisi mondiali così diverse e così simili, può ancora dirci qualcosa. “Alla grande legge dell’amore e della fraternità umana, che abbraccia tutte le genti e tutti i popoli in una sola famiglia con un solo Padre, subentra l’odio che spinge tutti alla rovina”. Il Papa implora la pace per tutti gli uomini ma specialmente “per coloro che nell’umana società hanno le gravi responsabilità del governo”, e si domanda: “Come potrebbero essi dare la pace ai loro popoli, se non l’hanno in sé stessi?”. La Caritate Christi compulsi si inserisce nel solco tracciato dallo stesso Pio XI con le due precedenti encicliche del 1931, Nova impendet e Quadragesimo anno (questa nel ricordo della Rerum novarum) riprendendone i temi, che furono anche di Leone XIII, della questione sociale, della crisi economica, della disoccupazione, aggiungendo infine una forte condanna dell’ateismo organizzato e militante e la lucida denuncia dei mali che la negazione di Dio produce nella società. Una enciclica “dura”, tra le più dure di Pio XI, di una durezza palesemente evidente, oltre che nel tono generale, nell’aggettivazione.
Il Papa denuncia:
– quel “sordido egoismo”, che troppo spesso presiede alle mutue relazioni individuali e sociali;
– il “gretto individualismo” che tutto ordina e subordina al proprio vantaggio, senza pensare agli altri;
– il “diabolico programma” di espiantare dal cuore di tutti, perfino dei bambini, ogni sentimento religioso;
– le “sataniche bandiere” della guerra contro Dio e contro la religione;
– la “dialettica infernale” con cui gli autori della campagna di ateismo, traendo partito dalla crisi economica, cercano di far credere alle masse affamate che Dio e la religione siano la causa dell’universale miseria;
– le “squadre pervase da spirito diabolico” che non si accontentano di predicare violenza ma uniscono tutte le loro forze per eseguire quanto prima i loro “nefasti disegni”;
– le “malvagie falangi”, nemiche di Dio non meno che del genere umano.
Di fronte a questo “odio satanico” contro la religione, che ricorda il “ mistero d’iniquità” di cui parla san Paolo – è la riflessione del Papa –, i soli mezzi umani e le provvidenze degli uomini non bastano. Di qui l’invito alla preghiera, poiché “sappiamo per fede quanta sia la potenza dell’umile, confidente, perseverante preghiera; a nessuna altra pia opera furono mai annesse dall’Onnipotente così ampie, così universali, così solenni promesse come alla preghiera”. Ma alla preghiera bisogna aggiungere anche la penitenza: cioè lo spirito di penitenza, e la pratica della penitenza cristiana. Specialmente nell’imminenza della festa del Sacro Cuore di Gesù, per la quale lo stesso Pio XI, con l’enciclica Miserentissimus Redemptor, aveva disposto che in tutte le chiese si celebrassero pubblici atti di pietà in riparazione delle offese recate a Cristo. “La preghiera, dunque, e la penitenza”, conclude il Papa, “sono i due potenti spiriti che in questo tempo ci sono dati da Dio perché riconducono a Lui la smarrita umanità che gira qua e là senza guida”.