Alle 10 di oggi l’atteso seminario di Fra Marino Porcelli sull’etica del Web 3, di seguito la trattazione degli argomenti
Far prevalere senza ma e senza se sull’intelligenza artificiale il primato della persona umana e i suoi diritti/doveri inalienabili
ENCICLICHE SOCIALI dei Papi
- Rerum Novarum, “intorno alla condizione operaia”
Leone XIII (15 maggio 1891)
- Quadragesimo Anno, “per l’instaurazione dell’ordine sociale cristiano”,
Pio XI (15 maggio 1931)
- Mater et Magistra, “sul valore della persona e della libertà economica, ma insieme sulla perfetta liceità della tendenza alla socializzazione, purché attuata nel rispetto dei diritti della persona. Notevole è anche la parte che affronta i problemi agricoli e quelli della decolonizzazione e degli aiuti ai Paesi sottosviluppati all’insegna del solidarismo internazionale.
Giovanni XXIII (15 maggio 1961)
- Pacem in Terris, “sulla centralità della persona inviolabile nei suoi diritti; l’universalismo del bene comune; il fondamento morale della politica; la forza della ragione e il faro della fede”.
Giovanni XXIII (11 aprile 1963)
- Populorum Progressio, sulla cooperazione tra i popoli e sul problema dei paesi in via di sviluppo. In essa vi è la denuncia dell’aggravarsi dello squilibrio tra paesi ricchi e paesi poveri, la critica al neocolonialismo e il diritto di tutti i popoli al benessere. È inoltre presente una critica al capitalismo e al collettivismo marxista. L’enciclica propone infine la creazione di un fondo mondiale per gli aiuti ai paesi in via di sviluppo. Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere sviluppo autentico, dev’essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo.
Paolo VI (27 marzo 1967)
- Octogesima Adveniens, “Sulle disuguaglianze flagranti che esistono nello sviluppo economico, culturale e politico delle nazioni: mentre alcune regioni sono fortemente industrializzate, altre sono ancora in fase agricola; mentre alcuni paesi godono di prosperità, altri stanno lottando contro la fame; mentre alcuni popoli hanno un alto livello di cultura, altri sono ancora impegnati nell’eliminazione dell’analfabetismo.
Lettera Apostolica, Paolo VI (14 maggio 1971)
- Laborem Exercens, Temi principali: Il lavoro e l’uomo – Il conflitto tra lavoro e capitale nella presente fase storica – Diritti degli uomini del lavoro – Elementi per una spiritualità del lavoro
Giovanni Paolo II (14 settembre 1981)
- Sollicitudo Rei Socialis, Tratta della “questione sociale” a vent’anni di distanza dell’enciclica Populorum Progressio. “Sul panorama del mondo contemporaneo, – L’autentico sviluppo umano, – Una lettura teologica dei problemi moderni
Giovanni Paolo II (30 dicembre 1987)
- Centesimus Annus, si chiede di: individuare le debolezze sia delle economie socialiste sia delle economie di mercato; alleggerire o cancellare il debito dei paesi poveri; disarmare gli arsenali atomici e non; semplificare gli stili di vita ed eliminare lo spreco nelle nazioni ricche; sviluppare le politiche pubbliche per il pieno impiego e la sicurezza del lavoro; creare delle istituzioni per il controllo delle armi.
Giovanni Paolo II (1 maggio 1991)
- Caritas in veritate, Tratta dello sviluppo umano nel nostro tempo, Fraternità universale, sviluppo economico e società civile, Sviluppo dei popoli, diritti e doveri, l’ ambiente, Lo sviluppo dei popoli e la tecnica…
Benedetto XVI (29 giugno 2009)
- Laudato si’, sulla cura della casa comune. L’argomento principale trattato è l’interconnessione tra crisi ambientale della Terra e crisi sociale dell’umanità, ossia l’ecologia integrale. Papa Francesco ha precisato infatti che “non si tratta di un’enciclica verde ma di un’enciclica sociale”.
Francesco (24 maggio 2015)
- Fratelli tutti, sulla fraternità universale, (cap. V: la miglior politica),
Francesco (3 ottobre 2020)
Ognuna di queste encicliche segna un passo avanti nella comprensione dei problemi e delle nuove frontiere della conoscenza nel mondo. E spesso illumina profeticamente le questioni che tratta.
Quali sono i pilastri della dottrina socio/economica della Chiesa?
- Il diritto all’associazione sindacale
- Il salario che assicuri il giusto sostentamento
- Le relazioni internazionali in piena Guerra fredda
- Lo sviluppo sostenibile è l’altro nome della pace
- La solidarietà
- La sussidiarietà
- La destinazione universale dei beni
- Il primato del bene comune
- La rivoluzione del modo di intendere il lavoro, come dono e non come sfruttamento
- La denuncia dei pericoli e dei limiti del capitalismo
- Per una nuova economia, con il riferimento all’economia del dono e della solidarietà
- L’ecologia integrale, visione connessa con antropologia, economia, politica e modelli di sviluppo
- La fraternità universale come progetto per favorire pace e sviluppo sostenibile
Per guidare l’innovazione verso un autentico sviluppo umano che non danneggi le persone e non crei forti dis-equilibri globali,è importante affiancare l’etica alla tecnologia.Rendere questo valore etico qualcosa di comprensibile da una macchina, comporta la creazione di un linguaggio universale che ponga al centro l’uomo:un “algor-etica” che ricordi costantemente chela macchina è al servizio dell’uomo e non viceversa. |
Card. Ravasi: “Bisogna innanzitutto ricordare che non si deve essere tentati dal polo totalmente negativo, gli apocalittici, che ritengono questa esperienza dell’intelligenza artificiale una degenerazione, ma neppure essere ‘integrati’, per usare la famosa espressione di Umberto Eco. Cioè non sposare questa nuova visione senza porci degli interrogativi di tipo etico. La necessità è proprio quella di distinguere chiaramente: l’intelligenza artificiale è fondamentale per il mondo del lavoro, della medicina, della ricerca, perfino della sicurezza alimentare. Però dall’altra parte, – soprattutto quando si tratta della cosiddetta intelligenza artificiale “forte”, dotata di autocoscienza, di autonomia “assoluta” -, l’ IA implica l’importanza e la necessità di un giudizio etico, di un controllo anche di tipo morale e antropologico”.
Giuliano Amato, giurista e politico, ricordando l’immagine che apre il film “Odissea nello spazio”, e il suo arco imprevedibile, ha dichiarato: “(ripensiamo) a quell’osso sbattuto in terra dell’antenato scimpanzè, prima forma di tecnologia, fino all’impazzimento del computer di bordo Charlie, che rifiuta agli astronauti una rotta sicura. Così l’uomo è nelle mani di quell’osso, che decide il destino dell’umanità. Se non vogliamo fare quella fine, serve tensione morale e il coraggio di dire: c’è un limite che non si può varcare, non possiamo giocare a fare Dio, siamo creature e non possiamo pensare di creare ciò che noi siamo, magari meglio di chi ci ha creato perché senza difetti”.
Si può passare dall’uso dell’IA a farne un “sostituto” di noi in certe decisioni.
Tre rappresentanti delle tre religioni abramitiche hanno firmato recentemente a Roma un documento nato in seno alla Pontificia Accademia per la Vita per promuovere una “algoretica”, ovvero uno sviluppo etico dell’intelligenza artificiale. L’evento si è realizzato il 10 gennaio u.s., in Vaticano.
Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha accompagnato nella firma ufficiale del documento il rabbino capo Eliezer Simha Weisz (membro del Consiglio del Gran Rabbinato di Israele) e lo sceicco Abdallah bin Bayyah (presidente del Forum per la Pace di Abu Dhabi). Alla cerimonia di firma interreligiosa, hanno partecipato anche i primi firmatari della Rome Call per rinnovare il proprio impegno “etico” in questa direzione:
- Brad Smith (presidente di Microsoft),
- Dario Gil (Global Vice President di IBM) e
- Maximo Torero Cullen (Chief Economist della FAO).
Dopo l’udienza papale, nel pomeriggio sono intervenuti relatori esperti del tema:
- la professoressa Ana Palacio, già ministro degli esteri spagnolo;
- il professor Mario Rasetti, emerito di fisica teorica al Politecnico di Torino
- il dottor Hamza Yusuf, presidente dello Zaytuna College di Berkeley, CA;
- il professor Aviad Hacohen, presidente dell’Academic Center for Law and Science di Hod HaSharon, in Israele, già decano della facoltà di legge;
- il prof Sebastiano Maffettone, direttore di Ethos, presso l’Univ. LUISS Guido Carli di Roma.
Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha usato queste parole per definire la firma, da parte di tre rappresentanti delle tre religioni abramitiche, di un documento sullo sviluppo etico dell’intelligenza artificiale: “È un segno importante per evitare una fuga in avanti di una tecnica che rischierebbe di favorire il post-umanesimo”.
Un manifesto condiviso
La genesi di questo documento risale a due anni fa, ricorda monsignor Paglia, “quando, poco prima che scoppiasse la pandemia, fu firmato a Roma un manifesto etico sull’intelligenza artificiale. Come sappiamo, queste nuove tecnologie emergenti e convergenti posseggono una loro logica interna che cresce in maniera molto veloce e che rischia di essere al di fuori di una prospettiva umanistica a tal punto da strumentalizzare l’uomo a proprio vantaggio”. In sostanza, aggiunge Paglia, “la Pontifica Accademia per la Vita insieme al presidente di Microsoft, al vice-presidente di Ibm, al segretario generale della Fao e ad un membro del governo italiano, ha messo a punto un testo con tre prospettive umanistiche:
- il principio etico, – A
- il principio educativo – B
- il principio giuridico – C
che devono guidare tutto il processo che riguarda lo sviluppo dell’intelligenza artificiale”
Primato dell’umano
Ora, dopo alcuni anni, quello stesso documento è firmato anche da rappresentanti del mondo islamico e di quello ebraico ma, assicura Paglia, “a luglio prossimo, in Giappone, sarà siglato anche dalle altre grandi religioni mondiali. Papa Francesco ha accolto positivamente questa nostra impostazione proprio per ribadire il primato dell’umano sulla tecnologia”.
I punti qualificanti del documento sono tre:
- tutelare il primato dell’uomo, – A1
- educare i giovani alle tecnologie complesse – B1
- incentivare la dimensione giuridica provando ad immaginare una governance internazionale – C1
I paletti della Chiesa all’IA: i teologi alla ricerca di una bussola etica per robot e algoritmi (condivisi da ebrei e musulmani)
La religione, l’intelligenza artificiale, gli algoritmi, i robot: la Chiesa si interroga sui limiti etici e morali che l’applicazione di queste sofisticate frontiere tecnologiche stanno ponendo all’uomo. Lo scenario più che ravvicinato e per certi versi inquietante è al centro di riflessioni nelle università pontificie (per esempio l’Ateneo della Santa Croce dove è attivo un centro dedicato).
- L’uomo può essere intercambiabile con una macchina?
- Fino a che punto un algoritmo può decidere della sfera etica?
«L’unico inconveniente per l’IA è il fatto che non è esattamente capace di darsi fini propri, prerogativa esclusiva dell’essere umano. Questo scenario pone dunque la questione dell’auto-comprensione dell’essere umano e dell’auto-concezione che l’umanità ha di sé stessa» scrive Giovanni Tridente, docente alla Santa Croce, nel suo ultimo libro “Anima digitale”, interamente dedicato al percorso teologico compiuto dalla Chiesa per far fronte ai nuovi interrogativi. Le macchine non hanno una «visione di sintesi» che sappia ponderare le cose nel loro insieme, contando su esperienze o principi di precauzione. Da qui però sorge la grande domanda etica, dato che un algoritmo – non essendo in grado di riprodurre tutte le casistiche – potrebbe facilmente fallire: in questo modo il suo impiego deve essere proporzionato all’importanza della posta in gioco». Detto in altri termini ci sono cose che l’IA può fare e altre no. Oppure:
- crediamo davvero che l’IA un giorno potrà completamente sostituirsi alla persona umana?
L’aspetto interessante è che le dichiarazioni prodotte dalle Accademie Pontificie dedicate agli argomenti dell’IA hanno restituito una concordanza tematica quasi assoluta con tutte le proposte avanzate dagli organismi civili, sia pubblici che privati. Ciò dimostra, annota il Prof. Tridente, che la Chiesa osserva i mutamenti (e i progressi), condivide ciò che può apportare benessere agli individui e si preoccupa affinché ogni innovazione risulti veramente affidabile, per ogni uomo e per la società intera.
L’Intelligenza Artificiale arriva in chiesa,
ma i robot non sostituiranno mai i preti, «non hanno l’anima»
Nell’antico e famoso tempio buddista di Kodaiji, a Kyoto, in Giappone, i visitatori vengono accolti da un robot di nome Mindar costruito sui tratti della divinità della misericordia. Mindar stupisce i fedeli dispensando, con le sue mani in silicone e il suo viso androide ricoperto dello stesso materiale lattiginoso, gesti benedicenti e formule spirituali tratte dagli insegnamenti dell’Illuminato. Quasi lo stesso accade dall’altra parte del pianeta, in una chiesa di Varsavia, in Polonia, dove è attivo SanTo, il primo robot cattolico, brevettato da un ricercatore di origine italiana, Gabriele Trovato, visiting professor alla Waseda University giapponese. Il piccolo automa risponde a domande immense, come per esempio: «Esiste il paradiso?». Il pupazzo alto circa 40 centimetri replica in modo estensivo, applicando dei codici di un programma basato sulla sacra scrittura e sul Vangelo e, naturalmente, duemila anni di magistero. «È più facile che un cammello entri da una cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli».
Forse non è la risposta che uno si aspetta per sapere se c’è vita dopo la morte, tuttavia offre uno spunto di riflessione sul fatto che l’intelligenza artificiale sta cambiando il modo in cui interagiamo con la realtà circostante, dai trasporti alla sanità, dall’alimentazione al terziario. Gli esempi sono ormai sotto gli occhi di tutti.
Quello che ancora non è evidente è come l’AI possa interagire con il sacro, con la ricerca della spiritualità, la pratica della preghiera. SanTo, dalla voce baritonale e un po’ ultraterrena, è programmato per recitare il rosario, accompagnare nelle preghiere i fedeli, persino (forse) confortarli con le frasi del Vangelo se qualcuno sta vivendo drammi o crisi spirituali. Finora tutto si muove sottotraccia e circoscritto a pochissimi esempi anche se l’interrogativo avanza.
Persino nelle sacre stanze delle maggiori religioni se ne comincia a parlare. Domanda: i robot potrebbero rimpiazzare preti, rabbini, monaci, sacerdoti modificando la dinamica e il rapporto tra l’uomo e la propria dimensione spirituale? L’interrogativo carsico viaggia sottotraccia lasciando dietro una scia di inquietudine. La stessa che ha ben descritto lo scrittore Kazuo Ishiguro nel suo ultimo libro “Klara e il sole” che parla di un compagno intelligente artificiale sviluppato per dare conforto ai bambini e alleviare loro il senso della solitudine.
E visto che in futuro ci saranno sempre meno preti (per il crollo delle vocazioni), Domanda: la Chiesa potrebbe ricorrere a questo espediente per mantenere i rapporti con i propri fedeli, siano essi ebrei o cattolici o buddisti? La risposta la fornisce p. James F. Keenan, gesuita, docente al Boston College e teologo moralista tra i più accreditati a scandagliare questo terreno insidioso.
A suo parere la questione si può risolvere alla radice perché “Gesù è il Verbum caro factum est! E lo stesso dovrebbero essere i nostri preti. I robot non possono esserlo” dice, aggiungendo di seguito che “l’intelligenza artificiale non potrà mai produrre l’anima. Il prototipo cattolico di Alexa dovrà aspettare. Semmai il vero nodo è pensare a quali valori la società umana fa riferimento e quali sono le cose che rendono la vita degli uomini degna di essere vissuta”.
Padre Keenan è stato chiamato di recente a parlare ad un convegno organizzato dal Pontificio Consiglio per la Cultura dal cardinale Gianfranco Ravasi dal titolo: La sfida dell’intelligenza artificiale per la società umana e l’idea di persona umana. Lo scopo dell’incontro era quello di promuovere una maggiore consapevolezza sul profondo impatto culturale che l’IA può avere sulla società umana. Kenan non ha però nascosto di essere «più preoccupato non tanto per la macchina, il robot, ma per il progettista. Sono preoccupato dal dominio del progettista, perché come nella vita umana, il progettista si abbandona più facilmente al dominio che alla vulnerabilità. E si potrebbe dire che nella misura in cui il dominio è il peccato originale dell’umanità, cioè il dominio come rifiuto della vulnerabilità umana, allora la condizione umana ha bisogno di essere vigile quando il dominio si presenta all’orizzonte umano».
La responsabilità e il bene comune, quindi, sembrano essere la chiave per mettere a fuoco come andare avanti con l’IA in ogni ambito.
Le moderne tecnologie quindi devono essere «sicure», devono prevenire i danni e gestire i rischi, attraverso una responsabilità condivisa tra produttori e utilizzatori. Tutto ciò va in qualche modo inserito in una dinamica educativa, che forma anche alla ragionevolezza, ad una coscienza morale e al bene autentico delle persone. Per la Chiesa, infine, non si può prescindere da norme che regolino adeguatamente tutti quei contesti in cui l’IA incide in maniera forte nella vita delle persone, proprio per favorire l’affidabilità e il benessere generale.
Guardiamo ora ad alcuni aspetti positivi di questa nuova frontiera:
L’applicazione dell’intelligenza artificiale di fatto si sta rivelando utile nella trasformazione dei sistemi alimentari e nell’affrontare l’insicurezza alimentare e nutrizionale. Nell’ottimizzare la semina e il raccolto, per esempio, aumentando così la produttività, migliorando le condizioni di lavoro – riducendo la quantità di tempo e di fatica – e utilizzando le risorse naturali in modo più efficiente. In agricoltura stanno emergendo di fatto tre aree: la robotica agricola, il monitoraggio del suolo e delle colture e l’analisi predittiva. Nel contesto del cambiamento climatico, della crescita della popolazione e dell’esaurimento delle risorse naturali, I’ IA può contribuire alla conservazione del suolo e dell’acqua.
John E. Kelly, Vice Presidente Esecutivo di IBM ha affermato: «Solo mettendo le persone, i loro interessi e i loro valori al centro del nostro pensiero sul futuro della tecnologia, possiamo tutti uscire più forti dalle sfide globali come la pandemia e la sicurezza alimentare».
Tutte le parti in gioco, cioè i vari soggetti coinvolti nelle più svariate ricerche tecnologiche, dovrebbero convenite su questo incipit: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza», come riporta l’articolo 1 della Dichiarazione universale dei Diritti Umani. A partire da questo caposaldo, che oggi si può considerare come una sorta di grammatica universale, un elemento-soglia, in una comunità globale e plurale, nascono le prime condizioni fondamentali di cui deve godere la persona, libertà e dignità, che devono essere protette e garantite nella produzione e nell’uso dei sistemi di intelligenza artificiale».
Secondo le religioni monoteiste, dunque, i sistemi di IA devono essere concepiti, progettati e implementati per servire e proteggere gli esseri umani e l’ambiente in cui vivono. Questo elemento serve a permettere che il progresso tecnologico possa essere uno strumento di sviluppo della famiglia umana consentendo contemporaneamente il rispetto del pianeta, cioè della casa comune.
Perché questo accada, devono essere soddisfatti tre requisiti fondamentali,
l’IA:
- deve includere ogni essere umano, non discriminando nessuno;
- deve avere al centro il bene dell’umanità e il bene di ogni essere umano;
- deve essere sviluppata in maniera consapevole nella complessa realtà del nostro ecosistema ed essere caratterizzata dal modo in cui si prende cura e protegge il pianeta con un approccio altamente sostenibile, che include anche l’uso dell’intelligenza artificiale per garantire sistemi alimentari sostenibili in futuro.
“Lavoro e genio creativo per un nuovo ordine economico”, ha detto di recente Papa Francesco (intervista a “Il Sole24Ore”, 7 settembre). “La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita”, nel contesto di una ‘economia giusta’ che sappia andare oltre ‘il feticismo del denaro’”. Le parole del Papa sullo “sviluppo integrale” investono in pieno il mondo dell’impresa in cerca di nuovo senso del proprio agire e di nuova legittimazione sociale. E impongono un reale approfondimento della riflessione sulle ragioni e le finalità dell’impresa stessa.
“Bisogna uscire – ha detto il Papa – dall’economia dello scarto, perché il lavoro crei lavoro e il denaro non sia un idolo”. E ancora: “L’attuale centralità dell’attività finanziaria rispetto all’economia reale non è casuale: dietro a ciò c’è la scelta di qualcuno che pensa, sbagliando, che i soldi si fanno con i soldi. I soldi, quelli veri, si fanno con il lavoro. E’ il lavoro che conferisce la dignità all’uomo, non il denaro”. Né l’assistenzialismo dei sussidi: “I sussidi, quando non legati al preciso obiettivo di ridare lavoro e occupazione, creano dipendenza e deresponsabilizzano”.
E’ insomma tempo di considerare che “l’attività economica non riguarda solo il profitto, ma comprende relazioni e significati, non è solo tecnica ma anche etica”. “agire bene, rispettando la dignità delle persone e perseguendo il bene comune, fa bene all’azienda”.
E ancora: “La persona umana è la risorsa più importante di ogni azienda, operando alla costruzione del bene comune, avendo attenzione ai poveri”. E insistendo sulla sua formazione: “Gioverebbe molto all’azienda completare la formazione tecnica con una formazione ai valori: solidarietà, etica, giustizia, dignità, sostenibilità, contenuti che arricchiscono il pensiero e la capacità operativa”. In sintesi estrema: fare, fare bene, fare del bene.
Vale la pena, in questo processo riformatore dell’economia, dei suoi valori e dei suoi indici, rileggere anche una lezione politica fondamentale, quella di Robert Kennedy, in un discorso fatto agli studenti dell’università del Kansas nel marzo del 1968, tre mesi prima di essere ucciso. Proprio sul Pil che “misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta” e che “può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani”.
Eccolo, dunque, il monito kennediano: “Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del Paese sulla base del prodotto interno lordo”. Il Pil, infatti, “comprende anche l’inquinamento dell’aria, la distruzione delle foreste, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana. Il Pil mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari”.
Il Pil, insomma, “non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago”. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei nostri valori familiari o l’intelligenza del nostro dibattere. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione, né la devozione al nostro Paese”.
Più di mezzo secolo dopo, questo messaggio è quanto mai attuale.